Mi chiamo Gioia, ma sarebbe più corretto dire che sono, Gioia. Ho tre anni, l’età perfetta per ciò che sono. Mi muovo intorno con stupore, piena di curiosità, toccando piano ciò che incontro e viaggio su un’energia fluida che attraversa felice i mondi che mi passano accanto e le anime che li abitano. Amo vivere in posti verdi con animali e alberi e germogli e acqua ma posso stare dovunque e la mia presenza è certa ogni volta che c’è un inizio. Passo il mio tempo incantata da lampi di luce di tutti i colori assorbendo le vibrazioni dalle energie che mi aprono le loro porte e mi svelano i loro misteri. Il mio gioco preferito è quello della conoscenza che non ha fine, che fa trepidare per la scoperta dell’ignoto, che fa guardare ogni cosa come nuova, pulita, viva.
Qualcuno, pur avendomi conosciuta all’inizio, in quanto lì ci sono sempre, mi mette poi da parte, mi nasconde in qualche posto buio dentro di sé e mi dimentica, magari per anni, qualcuno per sempre. Purtroppo, penso io, perché avermi vicino almeno alla fine di un’incarnazione, renderebbe lieto il passaggio, anche per coloro che lo vorrebbero sofferente e triste, come succede spesso ai terrestri, così legati a concetti faticosi e a credenze limitanti.
Insomma, qualcuno mi rinchiude in un angolino nascosto di sé, mi affama, mi tiene al buio, mi dimentica o, quando si ricorda, parla di me come di una cosa puerile, non adatta alla vita adulta, quasi come ne avesse paura. Li riconosco dalla tensione del corpo, dai sorrisi obbligati per sembrare gentili, dall’ansia di non avere mai tempo a sufficienza e molti di loro hanno problemi a digerire la vita che fanno, perché non ricordano più come si fa a sognare. Fanno così fatica nell’impiegare tante energie per tenere chiusa la prigione dove credono di avermi segregata, che gliene restano poche per amare, per stupirsi, per conoscere le meraviglie dell’universo e gongolare delle scoperte.
Ma io sono Gioia, sono libera e navigo ondeggiando in un mondo magico, vivo in ogni inizio e in ogni fine che segna un nuovo inizio, sono, sempre, non posso essere imprigionata e non posso, anche volendo, andare da chi non mi apre la porta.
Eppure trovarmi è semplice. Basta poco, sono nello sguardo incantato dei neonati, nei cuccioli quando toccano le cose per la prima volta, nella festa del camminare sotto la pioggia a piedi nudi e nel ballare improvviso senza motivo o nel sentir fremere al vento le foglie dei pioppi.
Leggo negli umani un’angoscia per la vita che passa, come se scappasse, come se la propria età corrente fosse l’unica possibile da vivere, e invece le età sono tutte ancora lì: lo stare nella pancia della mamma, la nascita, l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e così via. E ognuno è libero di passare da una all’altra ogni volta che sente che una certa età di sé, è più adatta alla situazione che sta vivendo. Anziché avvizzire chiusi in un solo noioso aspetto temporale di sé, si potrebbe appena possibile sintonizzarsi con l’età di quando si era piccoli piccoli, intorno ai tre anni quando, con gli occhi a palla per la meraviglia, si vede bello tutto quello che c’è e ogni evento perfetto così com’è, la felicità a portata di mano, occhi, voce.
Per essere precisa, nessuno mi perde mai davvero, anche se non mi vede, io ci sono sempre. Basta poco, che so’, un click improvviso di comprensione, un incontro con qualcuno che indica un sentiero mai visto, un evento straordinario che produce un salto di coscienza. Il cambiamento potrebbe essere istantaneo. Basta poco, basta sedersi e chiudere gli occhi, fermare il corpo e scendere dentro di sé. Nel profondo del cuore ci sono io coi miei migliori prodigi da giocoliere di luci, colori, forme, emozioni; allora il respiro si fa ampio e calmo, vasto come la notte stellata, e il corpo si apre in un grande immenso sorriso. È da lì che si inizia, ogni volta come sentire all’improvviso per la prima volta, ogni volta una vita nuova come non è mai stata.
Emanuela D.