Chiariamo subito che a me non piace uccidere.
Tanto meno seppellire i cadaveri.
Lo devo dire, per dovere di cronaca. Ma allora che ci faccio qui con una vanga in mano a gettare terra sul cadavere di un demone?
Bella domanda. Io però la risposta non ce l’ho.
Forse la spiegazione sta nel nome. Com’è che si dice? Numina nomina? Eh.
A me il Numen ha dato il nome di Andrea.
Che, grosso modo, significa valoroso, coraggioso.
E quindi faccio questa cosa qui, accoppo i demoni.
Qualsiasi demone: mio, di altri, chi se ne frega? Io li accoppo e li seppellisco. Forse per tener fede al mio nome faccio una cosa che sì, insomma, ci vuole del coraggio. Che i demoni spesso sono brutti per davvero e fanno paura. Poco importa comunque, perché questa è la mia missione.
Manco mi ricordo quando è stata la prima volta, che ne ho fatto fuori uno, intendo. Mi sembra che siano passati secoli.
Che poi più ne ammazzo e più ne trovo.
Cioè, come si può pensare di uccidere davvero un demone e di seppellirlo, per giunta? Secondo me questi dopo un po’ si rianimano ed escono da queste fosse.
Intanto però continuo a riempire la buca.
Ragiono da solo e getto badilate di terra.
Ho finito.
Calpesto tutta l’ampiezza della buca, ci cammino avanti e indietro per assestarla bene. Poi la schiaccio con qualche colpo tenendo la vanga di piatto.
Finalmente mi fermo, appoggiato con le mani ed il mento al manico della vanga e rimiro il lavoro fatto.
Sospiro.
Ho una sete bestiale e non vedo l’ora di farmi la doccia.
Con la vanga in spalla mi incammino verso casa.
Lei lo vede apparire come un fantasma.
Ha i capelli appiccicati alla testa dal sudore, le mani sporche di terra e di sangue, i vestiti impolverati. Lo sguardo torbido e lontano.
Respira dalla bocca perché l’aria che entra dal naso non gli basta. Il torace si alza e si abbassa con forza. Apre le mani e lascia cadere la vanga che fa un rumore secco. Torna presente nello sguardo e lo posa su di lei.
Lei, croce e delizia dai capelli di miele, che gli ha rubato il sonno, i sogni e la pace. Lei che con un impercettibile movimento della bocca riesce a scuoterlo fin dalle fondamenta e ad incendiarlo. Lei che Andrea non sente mai sua neanche quando la monta come un toro.
Pur tra le sue braccia e nelle sue carni, lei riesce a scivolargli via. Ogni volta, ogni volta lui viene gridando il suo nome. Lei invece tiene gli occhi chiusi e resta in silenzio. Poi dopo poco si alza, fa una doccia ed esce.
Portandosi appresso la forza di lui, la sua dignità, il rispetto di se stesso. Finché oggi non si è presa anche la sua fiducia e la sua speranza.
Non che si fidasse troppo di lei, sia chiaro.
Ma almeno una fiammella di speranza ce l’aveva, Cristo santo! Una lucina ancora accesa.
Lei ci ha soffiato sopra. Andando a letto col migliore amico di Andrea. Fine.
Li ha trovati insieme, nello stesso letto dove anche lui fa l’amore con lei.
Per un po’ è rimasto a guardarli ipnotizzato senza sapere se il cuore batteva ancora oppure si era fermato.
Poi ha preso la prima cosa che gli è capitata tra le mani ed ha colpito il suo amico con forza. Prima sulla schiena, le spalle, le braccia. Poi sulla testa. Finché lui non si è mosso più.
Ora alla polvere dell’ultima buca scavata si è aggiunto il sangue del suo ex migliore amico. A cui si aggiungerà ancora polvere e terra per la nuova buca che dovrà scavare.
Forse. O forse no.
È stanco, Andrea. Stanco di andare a caccia di demoni, stanco di questa missione di merda. Stanco di vivere così. Ora forse è la volta buona che smette. Lo arresteranno, lo processeranno lo sbatteranno dentro e lì ci passerà il resto della vita.
La guarda.
Lei fa quel movimento impercettibile con la bocca ancora una volta. Lui accenna un mezzo sorriso che è più una smorfia, gira i tacchi e se ne va. Cammina a lungo con la testa vuota, le gambe che vanno da sè, le orecchie che non sentono, gli occhi che non vedono. Dopo qualche ora, incontra un albero e si butta a sedere nella sua ombra.
Un’auto si ferma.
Un uomo si sporge dal finestrino. Lo guarda.
“Hai bisogno di un passaggio, amico?”
Andrea solleva gli occhi. Difficile dare un’età a quell’uomo. Potrebbe avere cinquant’ anni come settanta. Due solchi gli segnano le guance ed altri la fronte. Ha lo sguardo fermo e profondo e parla con calma.
È come un vento fresco e leggero.
Andrea non risponde, a fatica si alza, fa il giro dell’auto e sale.
Partono.
“Hai l’aria di chi non se la sta passando troppo bene” dice l’uomo.
“Già. Tu invece hai l’aria di chi certe cose le conosce.”
“Già.”
L’uomo accende la radio.
Louis Armstrong canta “What a wonderful world”.
L’uomo passa una bottiglia d’acqua ad Andrea. È fresca.
Andrea la apre e si disseta.
”Conosci Rumi? “ chiede l’uomo.
“Solo di nome.”
“Sai, lui dice che la ferita è il posto dove entra la luce.”
Andrea chiude gli occhi: due lacrime rotolano giù.
L’uomo alza il volume della radio e si tira giù gli occhiali da sole.
Angelica
Una risposta
Angelica, leggendo la tua storia mi è sembrato di sentire la rileggere durante il laboratorio! Mi piaceiono i tuoi stop emozionali. Sono dei tagli, dei salti nel vuoto. Il pianto finale è liberatorio. E chi non ha mai ucciso il proprio demone? Brava!!!