Il lupo e la vetta ardita

C’era un tempo, c’era una vetta ardita e c’era un lupo, Astor.

Astor  guardava la cime e la vetta ardita guardava il lupo.  Egli ululava e la vetta ardita lo ascoltava, si ghiacciava, si scioglieva, si righiacciava, così trascorreva il tempo,  mutava solo di forma,  rimaneva immobile.

Il lupo scalpitava,  implorava  ululando,  la vetta ardita si dimostrava insensibile al richiamo, non lo raggiungeva.

Astor era sempre più irrequieto e a muso basso, annusando la terra del bosco per lui familiare, si mise in cammino verso la vetta ardita, carico di rabbia perché la cima rimaneva ignara al suo richiamo.

I primi passi furono sicuri, foreste e boschi erano ciò che più conosceva e di fronte ai pericoli era vincente, sapeva cosa azzannare, dove nascondersi, come sfamarsi.

Dopo la frescura dei boschi e il verde dei pascoli  in quota comparvero le rocce, i prati soffici lasciarono il posto ai sassi e i passi divennero difficili, le rocce  dure e  sdrucciolevoli lo facevano scivolare; annusava la terra, non c’erano  tracciati, per  orientarsi doveva  rivolgere lo sguardo sempre  a nord.

Il lupo ansimava, ora era allo scoperto, l’ombra delle foreste e la frescura dei ruscelli erano scomparsi.  La cruda luce del sole,  implacabile, bruciava e illuminava tutto, compreso il suo corpo, scosso dal respiro affannoso.

Udì una voce

“Come sei  brutto, fai pena”,  ma non  individuò la provenienza,  pensò solo quanto tutto ciò fosse vero, era proprio brutto, così abbattuto, così vinto, così debole, così stanco e così affamato.

Avrebbe potuto rispondere  sollevando le gengive e mostrando i denti

“Io ce la farò, ce la devo fare”

Preferì pensare  che tutto quello che appariva fosse reale, stanchezza, fame, timore.

Astor aveva paura, tanta paura e si fermò, si fermò nel tempo , in quel tempo in cui non c’è possibilità e  necessità di correre, di andare, si accucciò, provò molta pena per se stesso, gli venne voglia di piangere  e permise a una lacrima di scorrere (un lupo che piange!) e pensò che quello era un tempo brutto, ma non ne aveva  nessun altro.

Fu mattina, fu sera  e furono altri giorni e altre notti.

Astor non pensò più alla vetta ardita,  fu attratto dall’anello di   nubi che circondava i fianchi del monte e della cima si poteva scorgere, a mala pena, l’eroica punta.

Carico della sua angustia  desiderò raggiungere quel posto meno assolato,  in cui avrebbe potuto nascondersi,  quel posto  in cui tutto poteva accadere,  perché nulla era visibile e confrontabile con le forme quotidiane.

Con fatica, con molta fatica a rischio di precipitare di nuovo a valle, scalando le crude, nere e aride rocce entrò finalmente nella miscela di nubi e nebbia. Le gocce di umidità lo rinfrescarono e lo dissetarono e  quel luogo, in cui tutto poteva accadere perché nulla era visibile e confrontabile con la realtà, fu la sua cura e la sua guarigione: il pelo si infoltì, le lunghe zampe si rinforzarono e ritrovarono l’agilità di prima.

Avrebbe potuto fermarsi, ma era un nuovo tempo e riprese il cammino verso la vetta antica, era di nuovo lui, il capo branco, aveva un nuovo ricco pelo, zampe forti, muso affilato,  occhi gialli e sguardo  penetrante.

Il ghiaccio delle nevi  era duro, ma non feriva più i suoi piedi, egli aveva soltanto voglia di arrivare.

“Finalmente in cima”

Pensò il re dei boschi, girò lo sguardo intorno , ammirò il panorama, guardò, riguardò, socchiuse i suoi occhi gialli e pensò. La vetta ardita era stata raggiunta, su di essa non cresceva vegetazione e si poteva vedere la roccia di cui era formata, la trovò povera e nuda, non fu deluso,  il viaggio era stato lungo, fertile di avventure ed esperienze. Fatto ormai saggio di tutta l’ esperienza accumulata, capì ciò che essa avesse voluto significare, senza di lei non si sarebbe mai messo in viaggio, chiuso nell’alitare dei suoi boschi, cosa altro si aspettava?

Per la prima volta si sentì leggero, molto leggero, e seguendo il nuovo desiderio di libertà….. si lanciò nel vuoto.

Le zampe si allargarono per la forza del vento, il pelo ondeggiò come erba  mossa dall’aria e il suo naso annusò l’odore dell’atmosfera.

Astor  godeva degli aspetti della natura sul suo corpo  e si lasciava cullare nello spazio dell’etere,   quando  all’improvviso gli spuntarono due ali forti, grandissime, “pellicciose” e pensò

”Un lupo con le ali?”

Certamente, anche i lupi possono volare, perché no? E se prima di lui nessuno dei suoi simili aveva mai posseduto un paio di  ali, meglio così, Astor sarebbe stato l’iniziatore di una nuova specie o forse l’unico, nella storia dei lupi, a possederne.

Si sentiva simile agli uccelli migratori che ogni anno sorvolavano le cime degli alberi  della foresta, egli  non sarebbe  più precipitato al suolo,  mai più si sarebbe fatto male.

Il coraggio viene premiato? Il temerario non fallisce nell’ impresa?

Astor  non si diede risposte, mentre agitava lievemente le sue poderose ali, godeva sul suo manto del permesso che si era dato, godeva sul suo manto  il vento della libertà,

Planò nel bosco e guardò la vetta antica, come gli appariva ora lontana  e solitaria.

Le sue ali, però, erano ingombranti, si sentiva un po’ come l’ albatros, “principe dei nembi […] che abita la tempesta e ride dell’arciere” eppure a terra  si muove “goffo e maldestro”.(1)

Riprese il volo e dall’alto vide un vascello navigare tra le onde , scivolò con eleganza sul ponte e ne prese il comando;   i marinai della ciurma avevano facce distorte, occhi appannati, cicatrici profonde, erano i diversi e  come Astor apparivano goffi e mal destri sulla terra,  eppure  erano potenti e  maestosi sul mare, come lui,   con le sue ali da gigante.

Astor era un capo branco, era fatto per guidare,  non per essere diretto.

I volti segnati, gli sguardi appannati, le lunghe cicatrici non lo infastidivano, non era facile essere un diverso, importante era riuscire a volare più in alto degli altri.

Il viaggio continuò.

 

C’era un tempo,  il tempo di Astor e ancora questo tempo esiste.

Di notte, quando la bruma si posa sul mare, tanto che le luci del porto appaiono sfocate e la linea di confine tra cielo e mare è sfumata, se vi mettete in ascolto e aguzzate la vista (i bambini sono molto abili in questo) potete scorgere la sagoma di una nave con le vele spiegate che scivola verso l’orizzonte;  al comando del timone c’è un lupo dagli occhi gialli e dalle ali pellicciose,  è Astor che naviga con la sua ciurma nello spazio sospeso della notte,  mentre da lontano vi  giunge l’eco di un lungo ululato alla luna.

Fine
(1)C.Baudelaire “L’albatros”

 

Simonetta Molteni

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